Prendi il largo…

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V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 

Lc 5,1-11

Le letture di questa domenica presentano un quadro molto unitario. Pur aprendo tantissimi percorsi alla nostra preghiera, sono tra loro legate da un tema centrale che può essere ben raccolto e sintetizzato dalle due collette a scelta, e ancor più dal salmo responsoriale: di fronte a Dio l’uomo scopre la sua miseria, le sue fragili mani e le sue labbra impure, ma è soccorso dalla grazia del Signore, unico fondamento della sua speranza. È il Signore stesso che, per il suo amore e la sua fedeltà, ha reso grande la sua promessa, e non abbandonerà l’opera delle sue mani.

 

Collette;
Custodisci sempre con paterna bontà la tua famiglia, Signore, 
e poiché unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da te, aiutaci sempre con la tua protezione. 

oppure:

Dio di infinita grandezza, 
che affidi alle nostre labbra impure e alle nostre fragili mani 
il compito di portare agli uomini 
l’annunzio del Vangelo, sostienici con il tuo Spirito, perché la tua parola, accolta da cuori aperti e generosi, fruttifichi in ogni parte della terra. 

Il brano del Vangelo, su cui soffermiamo l’attenzione, non è la continuazione di quello della scorsa settimana, la liturgia infatti omette i vv. 31-44 del cap. 4 passando direttamente quinto.
Le figure centrali sono Gesù e Pietro. Sullo sfondo troviamo la folla, i compagni di Pietro – che alla fine vengono identificati con Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo – e, in prospettiva, gli uomini a cui i primi chiamati sono inviati.
La folla fa ressa intorno a Gesù per ascoltare la Parola di Dio, quella parola di grazia già udita a Nazareth, la Parola che libera dal male (Lc 4,33 ss), che guarisce e rende capaci di servire (Lc 4,38ss): la parola di Gesù e la parola di Dio coincidono. È il cammino della Parola, che avanza e raggiunge gli uomini lì dove essi sono per coinvolgerli nel suo andare, nel suo diffondersi.

Gesù parla alle folle, ma diventa via via evidente che il suo obiettivo è Pietro. I verbi mostrano il suo progressivo avvicinarsi a Pietro: v. 2 mentre parla alle folle, vede le barche; v. 3 sale sulla barca di Simone e gli chiede di allontanarsi dalla riva; v. 4 finito di parlare, gli comanda di prendere il largo e calare le reti; v. 10 lo chiama a seguirlo.

Pietro è amico di Gesù (4,28-29), ha fatto anche esperienza della potenza della sua parola quando ha guarito sua suocera (4,38-39), eppure non è nella folla che lo ascolta. Sta compiendo il suo lavoro, nel quale sperimenta il fallimento di una notte improduttiva.

Sta lavando reti che sono rimaste vuote. Nonostante la fatica, l’impegno, la sua perizia di pescatore di professione, il frutto è il nulla. Tanta fatica, ma nessun risultato.

Gesù lo vede, e tutto fa supporre che si sia intenzionalmente recato al lago, per incontrare Pietro proprio nel momento dello sconforto, della stanchezza, della debolezza, del fallimento; è allora, infatti, che rivolge a Pietro la sua parola: prendi il largo e calate le vostre reti… In tutto il testo c’è l’intrecciarsi di verbi al singolare e al plurale, dove Pietro è responsabile (cioè colui che risponde) per tutti, ma contemporaneamente ciascuno è responsabile in prima persona.

Pietro, inizialmente invitato ad allontanarsi un po’ da terra, ora deve prendere il largo, letteralmente allontanarsi verso il profondo (in latino è duc in altum, ripreso da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica “Novo millennio inenute” n. 1).
La profondità, concretamente intesa, è la condizione perché il seme gettato per terra porti frutto (cf. Mt 13,5; Mc 4,5), perché si possa trovare la roccia sulla quale costruire la casa (Lc 6,48). Essa indica un “luogo” che è posto da un altro, sia in bene, sia in male (cf. Ap 2,24), e che l’uomo non può darsi da solo. Ma è lì che egli deve attingere, è lì che si radica il seme della Parola, è scavando molto profondo che si trova la roccia: è lì che Pietro fa esperienza della fecondità sovrabbondante della parola pronunciata da Gesù, più potente del male che è simboleggiato dalle acque del lago.

La risposta di Pietro può essere intesa in due modi.
Il primo come chiara espressione di fede: affidandosi alla parola di Gesù, pur dopo una notte di lavoro infruttuoso, Pietro compie un gesto che da esperto pescatore non avrebbe mai fatto, ma sa chi è Colui che glielo chiede e, fidandosi di lui, getta le reti.
Il secondo la considera piuttosto come espressione di un’obbedienza carica di perplessità. Dire “sulla tua parola” è dare a Gesù la responsabilità di un gesto in sé assurdo che potrebbe esporlo al ridicolo: “se lo dici tu… Io lo faccio, ma il risultato è tuo”. Pietro sa bene che non si pesca di mattina, che non solo è inutile gettare le reti ma è anche insensato, per questo non si assume la responsabilità e la scarica su Gesù. Però conosce Gesù e, con tutto il suo carico di incertezza e di perplessità, fa quanto gli ha detto. Non si ferma a ciò che conosce, che considera sensato, e getta le reti. Per questo di fronte alla quantità di pesce pescato è invaso da uno stupore tale da farlo cadere ai piedi di Gesù e riconoscere di essere peccatore.

In qualunque modo si intenda tale risposta, ciò che è centrale e permette a Pietro di gettare le reti è la conoscenza di Gesù e la sua disponibilità – anche se inizialmente riluttante – ad accogliere una Parola che contrasta con ciò che egli conosce bene, e lo chiama ad uscire dalle sue misure per aprirsi a una misura traboccante (cf. Lc 6,38). 

È così che la sterilità del suo lavoro, il suo fallimento diventano fecondità, diventano abbondanza tale che le reti quasi si rompono.
È lo stesso dinamismo dell’Annunciazione, dove Maria diventa la Madre del Figlio di Dio solo in virtù dell’accoglienza della Parola dell’angelo: una fecondità impossibile diventa possibile per la potenza di Dio.

Il risultato della pesca porta Pietro a riconoscere in Gesù non solo il maestro (in realtà il termine epistata – presente solo in Luca – significa piuttosto capo, comandante), ma il Signore.
È di fronte a Lui che riconosce il suo essere peccatore (espressione che si ritrova anche in bocca al pubblicano Lc 18,13), tanto da chiedergli di allontanarsi da lui con le stesse parole con le quali Gesù aveva scacciato un demonio in 4,35: esci da me (tradotto con allontanati da me), quasi fosse insostenibile per Pietro stare alla sua presenza:
Gesù è il Santo, Pietro è il peccatore. Pietro conoscerà veramente Gesù nel momento della passione. Gesù è amore che non rinnega di fronte al tradimento, è amore assoluto che non viene meno; lo si capisce nel perdono. E capirà anche chi è lui, Pietro: è peccatore amato, perdonato.

Allo stupore che pervade i presenti, Gesù risponde Non temere. È il momento della chiamata, dove Pietro sperimenta ora direttamente su di sé la potenza della parola di Gesù che lo costituisce in novità di vita. Pietro è chiamato proprio in quanto peccatore, in quanto la sua infecondità è il luogo della misericordia e della grazia, dove conosce chi è il Signore e chi è lui. E chiamato a diventare pescatore di uomini: Pietro deve pescare uomini per la vita, per rendere loro la vita. (il verbo significa prendere vivo, catturare ma non uccidere, rendere la vita, rianimare).
È stato salvato dal suo fallimento, da una fatica inutile, ora può fare altrettanto con gli altri: questa è la sua missione e quella dei suoi compagni che lasciano tutto e seguono Gesù, si mettono sullo stesso cammino, seguono lo stesso percorso, trascinati nella stessa missione, nella stessa dinamica di vita. Ed è una dinamica pasquale.

La luce della Pasqua traspare dal brano a cominciare dalle indicazioni temporali del v 5 che fanno riferimento ad un fallimento notturno e ad un successo in pieno giorno, e rinviano all’immagine della luce della resurrezione che vince le tenebre degli insuccessi umani.

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