La grazia del lavoro

“Le sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare lavorino dopo l’ora terza e di un lavoro che si addice all’onestà e alla comune utilità, con fedeltà e devozione, in modo tale che tenuto lontano l’ozio nemico dell’anima, non estinguano lo spirito della santa orazione e devozione al cui servizio devono essere tutte le altre cose temporali” (Regola di S. Chiara, VII)

Nel Libro della Genesi il lavoro è il primo compito che Dio affida all’essere umano quando lo pone nel giardino, ancor prima del peccato “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen. 2,15).

Perciò il lavoro non è un castigo, ma un valore positivo che fa parte della dignità della creatura di Dio; non è qualcosa di alienante ma è dato per la realizzazione dell’uomo.

Solo dopo il peccato viene aggiunto l’elemento della fatica: “maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane” (Gen. 3.17-19)

La nostra vita in Monastero è fatta di un’alternanza ordinata di preghiera e lavoro. Il nostro principale  compito, affidatoci dalla Chiesa è la preghiera liturgica. La Liturgia è il punto d’arrivo, l’ideale che sempre è davanti a noi ma, nello stesso tempo, è il punto di partenza, il fermento che trasforma a poco a poco il nostro modo di lavorare. Nella lingua greca ed ebraica la parola lavoro e liturgia coincidono: perciò il lavoro è servizio a Dio, è preghiera, e la preghiera è l’opera di Dio.

La celebrazione della liturgia, il servizio del Signore, non si limita alle poche ore dedicate espressamente al culto divino, ma continua nel lavoro quotidiano, che non deve allontanare il cuore da Dio, ma far sì che tutta la vita diventi un servizio al Signore, costruzione del Regno e della comunità cristiana. Ogni lavoro dovrebbe contribuire idealmente alla edificazione di un mondo più fraterno secondo lo Spirito del Vangelo. Questo è in fin dei conti il vero servizio del Signore.

In comunità siamo impegnate in diversi sevizi (per il normale andamento di una casa di 19 persone, orto, giardino, cucito e ricamo, scrittura delle icone, piccoli lavori di falegnameria). Ciascuna li riceve come compiti affidati dalla Abbadessa e dalla fraternità, non scegliamo autonomamente secondo il nostro gusto o il nostro pensiero quale attività svolgere. 

Il lavoro come ci ricorda S. Chiara, è innanzitutto un dono del Padre delle Misericordie, da esercitare nella gratitudine, in obbedienza e gratuità, per l’utilità della fraternità; esso ci educa alla carità, al bene comune e alla imitazione di Cristo, che a Nazareth lavorò egli stesso di un lavoro manuale e umile.

Il lavoro è una grazia che ci richiama costantemente a non vivere nella autoaffermazione, ma nel dono di noi stesse, a operare in Dio, per amore suo e per la sua gloria, non per la nostra. Perciò, stando sempre alla Sua Presenza, nasce anche una cura e una attenzione perché ogni cosa (dalle pulizie alla scrittura delle icone) sia fatta bene e sveli la bellezza e l’amore, nella disponibilità a lasciarsi usare da Dio come strumento per la Sua opera.

La fatica quotidiana del lavoro ci unisce poi in comunione con i nostri fratelli e sorelle che nel mondo devono lavorare duramente per mantenere se stessi e le proprie famiglie.

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“Allora l’uomo esce per il suo lavoro,
per la sua fatica fino a sera”.
(Sl 103,23)