Come riflessione in questa domenica proponiamo l’omelia che P. Sandro Guarguaglini ofm, ha pronunciato venerdì 17 settembre, giorno in cui noi, insieme a tutto l’Ordine Francescano, abbiamo celebrato la festa dell’Impressione delle sacre stimmate di san Francesco.
Da domenica scorsa e per tutta la settimana la liturgia ci ha fatto meditare sul mistero della Croce proponendo alla nostra fede la contemplazione dell’abbassamento di Cristo, come strada maestra da percorrere per diventare sempre più suoi discepoli, testimoni e annunciatori della salvezza.
In questo san Francesco è stato perfetto imitatore di Cristo, fino a sperimentare nel suo corpo l’amore e il dolore di Gesù stesso, innalzato, nel suo abbassamento, sulla croce per la redenzione di ogni uomo.
Parlare oggi di stimmate, di ferite e anche sanguinanti può sembrare paradossale, visto che tutti cerchiamo di star bene assolutamente e guai se ci sanguina qualcosa sia di esterno o di interno. Per Francesco non è stato così. Lui ha voluto essere sanguinante insieme al Suo Gesù. Ha voluto versare sangue, proprio per provare nel suo corpo e nella sua anima un po’ del suo dolore e un po’ del suo amore. Questa è la vera passione degli amanti, partecipare completamente all’amore dell’amato; questo è quanto ci dice S. Bonaventura raccontandoci l’esperienza del serafico padre. Il contesto delle stimmate, è assai strano, perché non fa parte della normalità di una richiesta, si chiede di soffrire e di gioire, anzi si chiede di gioire soffrendo come ha fatto Gesù. Non possiamo in questo contesto staccare l’amore dal dolore perché ci allontaneremmo anzi ci staccheremmo da ciò che Francesco ha voluto vivere, noi sappiamo solo che Gesù, qui su questo santo monte, lo ha accontentato. Di fronte a tanta sublimità di grazia, come hanno detto i biografi di Francesco, di ardore serafico, noi possiamo solo metterci in ginocchio e adorare il mistero della croce, perché di croce si tratta. Le stimmate sono l’apice di un cammino, il sigillo dice S. Bonaventura, sono il culmine di un cammino spirituale ed evangelico; Francesco è l’alter Cristi, e S. Chiara lo testimonia con parole forti, parole di chi ha condiviso la stessa vita, parole che non sono poesia, ma sono testimonianza viva: il beatissimo padre nostro Francesco di Cristo vero amante e imitatore. Non siamo di fronte ad un concetto, ad un racconto, siamo dentro un’esperienza, dentro una vita, e di questa vita Francesco vuole riviverne il centro: la Passione, la morte e la Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. E’ per questo che Francesco osa chiedere, ormai la sua vita ha già conosciuto tutta la vita di Gesù, ora la vuole provare sulla sua carne viva; vuole sentire i chiodi, vuole sentirli penetrare dentro, vuole sentire il dolore che provoca l’amore, proprio come Gesù, che mentre soffriva terribilmente donava la vita per noi. Le stimmate sono la risposta di Gesù ad una domanda che era cominciata nella giovinezza: Signore cosa vuoi che io faccia. E Gesù gli risponde: ti ho dato le stimmate perché tu sia mio gonfaloniere. Ecco cosa vuole Gesù da lui, che diventi suo rappresentante, sua icona. Francesco si trova piagato nel corpo, non solo nell’anima, ma tutta la sua persona è avvolta da questo mistero di amore e di dolore, non c’è più nulla in lui che non sia di Gesù. Le stimmate diventano conoscenza intima del Crocifisso, quel Crocifisso che gli aveva parlato a san Damiano; sono conoscenza intima di quel Bambino che aveva preso vita nelle sue braccia a Greccio; sono conoscenza intima dell’Eucarestia ricevuta tante volte, sono conoscenza intima di tutti quegli incontri avuti con Gesù qui sul monte della Verna e che ora sono certezza di verità. Verso la festa dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), la meditazione del Crocifisso aveva fatto alzare il tono delle sue domande: «due grazie ti prego che tu mi faccia … Entrare nel dolore col quale tu, mio Signore, mi hai amato … Avere un po’ del tuo amore per essere in grado di sostenere quel dolore!». E l’Amico venne, una notte, da Oriente, splendente, gioioso e ferito e lo abbracciò, segnandolo con le sue stesse ferite. Le Stimmate furono il “sigillo” che le sue membra portarono per due anni. È il dono-tesoro del settembre 1224, l’amore che conferma l’amato all’amante. Francesco, custode trepido di questo dono, è il Gonfaloniere di Cristo povero e crocifisso. L’avventura umana di 20 anni di sequela aveva toccato il culmine; l’amore ferito che gli si era stampato nel cuore davanti ai Crocifissi bizantini delle chiesette attorno ad Assisi, fioriva lassù, sulle rocce a strapiombo, nell’immensa cattedrale del mondo … Cinque splendide ferite d’amore che gli consumeranno pian piano quel poco di salute che gli era rimasta.
Il brano di san Paolo che abbiamo ascoltato (Gal 6,14-18) ricorda l’esperienza delle Stimmate che lo stesso Paolo ha avuto: io porto le Stimmate di Gesù. E’ l’invito ad entrare anche noi dentro lo stesso mistero di amore e di dolore e divenire partecipi del suo itinerario di morte e resurrezione. Come possiamo noi oggi vivere tutto questo? Come possiamo essere stimmatizzati dall’amore di Gesù? E’ lo stesso padre serafico che c’è lo insegna invitandoci ad accogliere in noi tutto ciò che è di Gesù e a ridare a Lui tutto ciò che lui ci ha dato. Lasciarci afferrare da questo amore è rischioso perché ci prende totalmente, anche se non abbiamo le stimmate, ma dobbiamo però anche noi essere disposti a entrare in comunione intima con lui, attraverso l’esperienza quotidiana con la sua Parola e con il suo corpo e il suo sangue. Per noi oggi diventa urgente, in questo tempo dove il sangue scorre inutilmente, essere portatori di una testimonianza di un uomo che è stato piagato per amore, un amore che se anche ferisce salva e dona la vita. Anche noi, dobbiamo credere, come Francesco che quelle Piaghe ci hanno guarito. Quanti fratelli e sorelle, da un letto di dolore, o sono colpiti da una sofferenza, sia fisica che spirituale o psicologica sono associati alle Stimmate di Gesù e con Lui partecipano alla Sua vittoria Pasquale, perché Cristo Gesù è vittorioso, perché la sofferenza anche se apparentemente può sembrare una perdita, se associata a quella del Signore è un segno di vittoria. Qui siamo nel paradosso evangelico, ma noi siamo cristiani e quindi dentro questa storia di salvezza. L’accettazione, anche se faticosa e l’offerta delle nostre sofferenze sono causa di salvezza del mondo, anzi sono la preghiera più bella. Dobbiamo imparare da S. Francesco come rapportarci con la sofferenza, con il dolore, con la morte, proprio perché oggi c’è bisogno di questa testimonianza, che è la più vera, perché chi soffre non parla ma vive. Allora chi soffre, anche noi, abbiamo nella chiesa un posto privilegiato, siamo nel cuore palpitante di Francesco, quel cuore che intercede costantemente presso il Cuore di Gesù. Per i giovani, che spesso hanno smarrito il senso della vita e sono alla ricerca di strade che portano solo alla morte, per le famiglie, minacciate da una ondata diabolica di nuovi attacchi, perché sappiano resistere e rimanere unite. Per tutti gli uomini e le donne della terra, soprattutto per i cristiani perseguitati, derisi e minacciati, perché la loro fermezza e il loro sacrificio sia seme di pace e di speranza nuova. Per tutti noi, perché nel cammino della nostra vita sappiamo accogliere la sofferenza e viverla come un’ulteriore atto di amore verso il Signore. La Vergine Maria, che ai piedi della Croce ha vissuto la sofferenza del Suo Figlio stia accanto ad ogni sofferente e ci dia la forza di accettarla e offrirla per la salvezza nostra e del mondo intero.
P. Sandro Guarguaglini ofm