25 luglio 2021 – XVII Domenica del tempo ordinario – anno B
Anche disse che uno dì, non avendo le sore se non mezzo pane, la metà del quale innanzi era stata mandata alli frati, li quali stavano de fora, la preaditta madonna comandò ad essa testimonia che de quello mezzo pane ne facesse cinquanta lesche et le portasse alle sore, che erano andate alla mensa. Allora disse essa testimonia alla preditta madonna Chiara: «Ad ciò che de questo se ne facessero cinquanta lesche, saria necessario quello miraculo del Signore, de cinque pani e due pesci». Ma essa madonna le disse: «Va’ et fa’ come io te ho detto». E così el Signore moltiplicò quello pane per tale modo che ne fece cinquanta lesche bone e grandi, come santa Chiara le aveva comandato. (Processo di Canonizzazione di Santa Chiara – VI testimone, 16 – FF 3039)
Un momento di vita quotidiana a San Damiano. È l’ora del pasto, il pane è uno solo e Chiara lo condivide con i frati. Ne rimane solo metà, e la povera sorella che si deve occupare di affettarlo per tutte non può far altro che constatarne l’insufficienza. Le sorelle sono già sedute a mensa, non c’è tempo di provvederne altro magari andando per la questua. Mezzo pane per 50 sorelle. Poco, evidentemente insufficiente. Possiamo immaginare la faccia di sora Cecilia quando Chiara le comanda di farne cinquanta fette! Infatti risponde con una battuta di spirito, richiamando la necessità di un vero e proprio miracolo come quello fatto da Gesù stesso dei cinque pani e due pesci. Ma Chiara le ripete ciò che deve fare, senza dubitare. E il miracolo avviene. Ci dice Cecilia che il Signore moltiplica il pane. Lo stesso miracolo da lei evocato avviene ora sotto le sue mani, mentre taglia ben 50 fette da mezzo pane. E, sottolinea, fette “bone e grandi”.
Questa domenica vogliamo accostarci così al Vangelo che la liturgia ci propone, attraverso questo scorcio bellissimo sulla vita a San Damiano.
Sottolineiamo alcuni tratti.
È un giorno qualunque, la vita scorre nella sua ordinarietà, non c’è nulla di eccezionale. Si verifica, però, una mancanza: non c’è il pane, elemento non superfluo, come oggi, ma fondamentale per il nutrimento. Una mancanza alla quale non si può porre rimedio, non c’è il tempo, non ci sono risorse. Proprio come nel brano del Vangelo di Giovanni:
Allora Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». (Gv 6,5-7)
Una folla da sfamare, ma con che cosa? Non ci sono risorse sufficienti. Sembra proprio che avvertire la mancanza, e avvertirla in modo bruciante, sia la condizione che prepara il miracolo. Una mancanza che noi, con le nostre mani, con le nostre capacità, non possiamo colmare. Un punto limite, dove si sperimenta l’impotenza assoluta. Una sensazione che non vorremmo mai sperimentare: sentirsi assolutamente impotenti, nell’impossibilità di trovare soluzioni. Come si sta di fronte alla mancanza? Qual è l’atteggiamento risvegliato dalla consapevolezza della propria impotenza?
Ci si può rassegnare, ribellare, cercare di riempirla con altro. È evidente che non si tratta solo di una mancanza superficiale e materiale. La fame, di cui qui si parla, ha un’eco profondissima nella nostra vita, benché molto probabilmente nessuno di noi conosca davvero la fame fisica, quella che attanaglia lo stomaco e non solo perché in questo momento non posso mangiare, ma perché proprio non c’è niente da mangiare, la fame sperimentata dai nostri genitori, nonni e bisnonni nei tempi della guerra e, ai nostri giorni, da tanti poveri sia nella nostra Italia, sia in tanti paesi del mondo. La fame umilia, rende deboli, spesso arrabbiati, ferisce la persona nella sua dignità… Chiara e le sue sorelle hanno scelto di vivere la povertà che le esponeva alla fame. Non hanno scelto la fame, ma la povertà, cioè la condizione di chi rinuncia a farsi strada con le proprie mani, ma le mani le usa per aprirle al dono, alla provvidenza, al lavoro, per chiedere, per dipendere… Chiara sceglie la mancanza. Sceglie di avvertire quel vuoto di cose che permette al Signore di avere spazio per entrare, per dimorare, per rendere ricchi di lui. Uno spazio sacro, perché smaschera le false immagini di potenza che possono illuderci di essere qualcuno, e ci mette di fronte alla nuda verità di noi stessi: sarà una meravigliosa scoperta vedere che questa verità non è un nulla che sgomenta, ma un nulla rivestito di amore. La nostra verità è che siamo figli amati, voluti, desiderati.
Chiara sa bene tutto questo, e non lo sa solo con l’intelletto ma con le profondità del proprio essere: la povertà che ha scelto di vivere ha scavato in lei la scoperta umile e splendida di essere amata, e tale scoperta è diventata la sua consapevolezza più profonda, possiamo dire il suo “io”. Così, con semplicità disarmante, e con una sicurezza che non lascia spazio a tentennamenti, dice a sora Cecilia di tagliare 50 fette di pane. È certa che il Signore non fa mancare il necessario a chi confida in lui, non ha alcun dubbio di questo.
La fede di Chiara accompagna i momenti più ordinari della vita. È il suo modo abituale di vivere. Non ne ha un altro: si affaccia ad ogni nuovo giorno a partire dalla sua fede. È imbevuta di questa fede, non può affrontare la vita in altro modo. Anche il momento del pasto. Anche questo è vissuto a partire dalla fiducia salda e serena che il Signore ha promesso e il Signore mantiene.
Così Chiara può condividere il suo pane con i frati, gli altri poveri per scelta, sicura che condividendo, troverà moltiplicato, perché così ha fatto il Signore, perché così lei ha imparato guardando a lui.
E il miracolo avviene, semplicemente, sotto le mani di sora Cecilia che, invece, qualche dubbio ce l’ha! Però si affida a Chiara. La conosce bene, sa che ciò che dice lo crede con tutta se stessa. Questa sua obbedienza affettuosa permette al Signore di portare a compimento il miracolo di cui Chiara è certa.
La mancanza, che poteva gettare scompiglio, creare preoccupazione, far sentire i morsi della fame, è per Chiara lo spazio della fede. La mancanza del pane rimanda alla mancanza più profonda avvertita dal nostro cuore, la percezione della nostra insufficienza, dell’incapacità a saziare la fame profonda di amore che davvero attanaglia l’anima. Come stare di fronte a tale mancanza? Come Chiara: con la fiducia serena che il Signore la colma. Solo lui la può colmare, niente e nessun altro. Tutto il resto è surrogato che lascia solo amaro e trasforma la mancanza in angoscia, in disperazione.
Il poco che noi siamo, quei mezzo pane delle sorelle a San Damiano, quei cinque pani d’orzo e due pesci del giovane, sono proprio ciò che il Signore attende per colmare con abbondanza la fame della nostra vita. Si tratta di guardare il poco che siamo con lo sguardo di Gesù: una possibilità, una risorsa immensa, un’abbondanza straripante che lui, solo lui, può far scaturire da un nulla offerto e condiviso.
Foto di Karolina Grabowska da Pexels
Clarisse Monteluce S. Erminio