Tratto da “Vedere Dentro. 13 racconti per incontrare Gesù” di Marco Banfi, ed. Porziuncola
Avere come me una strada lunga, una strada senza fine, perché ricomincia sempre, è qualcosa di sfibrante.
Scendere per risalire, nascere dall’alto per giungere fino al fondo e da lì rifluire, è qualcosa di misterioso che parla di realtà più vaste di me.
Come se Qualcuno di più grande mi avesse posto, mio malgrado, come segno per altro che non comprendo bene.
Mi sono sempre sentita la strada di un Altro, quella che lui stava percorrendo, una strada che nasceva dall’alto per scendere nel punto più profondo, nel punto morto e da lì risalire, ma non avrei mai potuto credere che questo avvenisse realmente.
Non era per me possibile vivere tutto se non come un destino ineludibile, legato alla mia stessa natura di acqua che sgorga da una sorgente di montagna e, passando per un lago lungo tutta una valle che rende fertile, finisce poi in un mare morto, ove nulla vive a causa del troppo sale.
Ma proprio nel Mar Morto per me inizia una nuova vita, quando salgo al cielo come vapore per condensarmi in nuove nuvole che scrosciando mi condurranno a scendere sulla terra per fecondarla e rinvigorirne le sorgenti.
Un continuo donarmi portando con me tutto quello che incontro: è questo il mio destino e anche il Suo.
Lui si è presentato un giorno sulle mie sponde, insieme a tanti altri, uguale a loro, ma diverso da tutti.
Quel giorno veniva in me chi cercava salvezza dalla propria condizione, sentivo i loro piedi entrare e muoversi poggiando sul mio letto di sabbia e ciottoli.
E lì c’era un uomo vigoroso, dalle caviglie larghe, vestito di una semplice pelle di cammello, che lambivo fino ai fianchi.
Chi gli arrivava davanti, crollava dentro di me, poggiando le sue ginocchia sul mio fondo ed io potevo sommergerlo, se pur per un attimo, avvolgendolo compieta- mente.
Allora accadeva qualcosa che, solo io, potevo riconoscere.
Lungo il mio scendere sono abituata a ricevere ciò che poi in me si spegne, o precipitando per scomparire, o sciogliendosi lungo gli anfratti del mio scorrere.
Oggetti domestici e pietre lanciate per gioco, attrezzi da lavoro e indumenti, sfuggiti dalle mani dell artigiano o della lavandaia, monili buttati per dimenticare o armi gettate per nascondersi: tutto sono abituata ad abbracciare perché scompaia; perfino uomini ed animali, a volte, col loro corpo pesante trascinato, ove nessuno può più trovarli.
Quel giorno però avvenne in me 1 inizio di qualcos’altro.
Quando quegli uomini, crollati innanzi a colui che li immergeva, si rialzavano, essi non lasciavano in me semplice sporcizia od il torbido dei movimenti bruschi, ma le presenze che li abitavano e dai loro cuori gridavano tutta la loro disperata condizione.
Erano odi, erano rancori sordi ed amarezze antiche, passioni cocenti e sconfitte mai accettate, lutti rifiutati e violenze subite o perpetrate, meschini compromessi che imprigionavano chi li aveva compiuti, illuse presunzioni che oramai avvelenavano chi vi credeva, compravendite di anime e corpi.
Man mano che questa ininterrotta processione proseguiva verso colui che immergeva, io venivo impregnata di tutti ì misfatti, di tutti gli orrori quotidiani, di tutti i piccoli delitti nascosti che inaridiscono la vita di ciascuno.
Fu solo a un certo punto però, che compresi veramente quello che stava accadendo.
Tutto il male che stavo ricevendo e che non mi era possibile smaltire, purificare, perché era una realtà concreta, ma invisibile, rimaneva in me non come una semplice impressione, ma come qualcuno: veri spiriti restavano imprigionati nell’oscurità dei miei flutti ed ognuno era l’impronta di quello che abitava nel cuore di chi si era immerso.
lutto divenne un immenso, irriducibile, inafferrabile ed irrisolvibile grido, mentre in me la domanda diventava invocazione senza tregua per la mia salvezza e quella di coloro che avevo conosciuto avvolgendoli.
Chi avrebbe mai potuto liberarmi da tutto ciò? Chi avrebbe mai potuto liberare il cuore di ciascun uomo dalla schiavitù che mi si era impressa dentro? Chi e come?
All’inizio, quando Lui venne, sembravano i piedi di uno dei tanti, il passo però era fermo ed il movimento leggero, così che poca sabbia si sollevava al suo passaggio.
Quando arrivò innanzi al battezzatore, prima di immergersi, si fermò, e tra loro avvenne un colloquio, credo, perché le loro lievi vibrazioni si univano alle mie onde leggere.
Poi Lui scese.
Fu un silenzio assoluto.
Ogni voce tacque, ogni grido smise immediatamente, io stessa tacqui, sospesa davanti alla Presenza.
Lui immobile stava sul fondo, nel punto morto, dove ogni essere che respira non può più vivere.
Era in ginocchio, occhi chiusi, il cuore aperto, completamente.
Nel suo profondo la luce, un’altra acqua, la vita stessa.
Ogni spirito allora, si lanciò verso di Lui con la forza disperata dell’assetato che trova finalmente da bere, lanciandosi con tutta la brama di vita che lo divorava.
Ogni colpa che bruciava il cuore gli si gettò addos so, entrandogli dentro, cercando pace e perdono, consegnando a Lui la responsabilità di ogni sofferenza inflitta e ricevuta, per potersi spegnere e placare.
Durò non molto, forse un attimo, il tempo dell’immersione, mentre il sì di quell’Uomo veniva detto e, rialzandosi per uscire, portava via con sé ogni male, ogni straziante invocazione di salvezza, di liberazione.
Lui aveva preso tutto su di sé, ma non ne era stato travolto, non era stato sommerso per sempre.
Anzi, ne usciva vittorioso portandosi addosso ciò che era stato ormai sconfitto, reso prigioniero della sua potenza assoluta.
Io che stavo sperimentando i frutti della sua presenza, trovandomi finalmente non solo libera da tutte quelle grida laceranti, ma abitata dalla sua impronta, compresi che Egli era il vincitore, Colui del quale io ero sempre stata nient’altro che l’immagine.
Lui come me, proveniva dall’alto: fresco come pioggia di primavera scendeva verso il basso fino alla morte, per riempirla di sé e portarla in alto, nella sua stessa vita trasformata.
Egli che, salito al cielo, dopo esserne disceso per raggiungerci, sarebbe tornato a dare nuova vita per chi avesse voluto dissetarsi alla sua sorgente, nel giorno in cui avrebbe ricoperto di sé tutta la terra, come un nuovo diluvio, una nuova nascita per sempre.
Io da allora ancora scorro, nell’attesa del Suo ritorno, quando verrà per trasformarmi completamente nella sua vita finalmente compiuta.
(Mt 3, 13-17)