Il Battista indica Gesù ai suoi discepoli, ed essi lo seguono. La figura di quest’uomo nel Vangelo di Giovanni è di una statura enorme: è l’amico dello sposo, è colui che prepara la strada alla sua venuta, non è protagonista, non si arroga un compito che non è suo. Sa fare un passo indietro e in questo trova la sua gioia.
Immediatamente l’attenzione si sbilancia su Gesù che, apparentemente, sta camminando senza porre attenzione a Giovanni e ai suoi discepoli, che all’indicazione del Battista cominciano a seguirlo. Gesù è di spalle, e i due discepoli sono dietro a lui: scena che mostra l’atteggiamento del discepolo, che per conoscere Gesù può solo camminare dietro a lui, seguirlo nel suo cammino. Nel momento in cui cominciano a seguirlo Gesù si volta e pronuncia le sue prime parole nel Vangelo di Giovanni: “Che cosa cercate?”. Questa domanda ricorrerà in altri due momenti importanti del Vangelo, passando dal “che cosa” al “chi”: durante la Passione, quando i soldati vanno a cercarlo nell’Orto degli Ulivi (“Chi cercate? 18,4) e il mattino della Resurrezione, quando si manifesterà alla Maddalena in pianto (“Chi cerchi? 20,15).
Sembra che l’evangelista voglia porre a noi questa domanda: cosa cerchi? Chi cerchi? Una domanda importantissima nella vita di ogni giorno: ciò che cerchiamo decide della direzione della nostra vita, decide di ciò cui diamo valore, per cui spendiamo tempo, decide del tesoro cui vogliamo legare il nostro cuore. Che cosa cerchi? Chi cerchi nelle tue giornate? Che cosa muove il tuo cuore?
Gesù pone loro questa domanda guardandoli in volto, uno sguardo che arriva al fondo del cuore, e loro capiscono che Colui che hanno davanti è il Messia, è davvero l’atteso. Ma non solo l’atteso di Israele, non solo l’atteso per, come forse credevano, la liberazione politica della Terra Santa dal potere romano, ma l’atteso della loro esistenza, Colui che con il suo sguardo riempiva di senso e di bellezza quell’esistenza insoddisfatta, insufficiente.
È solo da un’esperienza così grande di amore e di bellezza che può nascere un annuncio capace di attrarre altri: Andrea incontra Simone, e lo conduce da Gesù. Lo stesso sguardo che aveva sperimentato lui ora raggiunge suo fratello, un pescatore di Galilea, che si sente restituire la sua identità più profonda. Non sarà il suo entusiasmo spesso istintivo, non sarà la sua pusillanimità a dire chi è Simone fino in fondo, ma il nome che Gesù gli dà: “Sarai chiamato Cefa” che significa Pietro. L’incontro con Cristo diventerà la roccia del suo cuore, l’incontro con il suo sguardo, sperimentato nel momento del rinnegamento e poi ancora sulle rive del lago di Tiberiade dopo la Resurrezione, dove la misericordia infinitamente più grande del tradimento farà di Pietro l’uomo capace di dare la vita per il suo amato Maestro.
Un brano bellissimo, ricchissimo, che non ha bisogno di commenti ma di contemplazione, di preghiera. Vuole farci incrociare lo sguardo del Signore, farci rimanere, come i discepoli, dove il Signore abita. Vuole rimetterci in cammino dietro a lui, con il cuore pieno di gioia perché il Suo amore si è fatto incontrare, si è posato su ciascuno di noi, ha pronunciato il nostro nome.
Sotto il tuo sguardo
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17 gennaio 2021 – Seconda domenica del Tempo Ordinario
La seconda domenica del Tempo Ordinario dell’anno B ci fa il dono di una bellissima pericope del Vangelo di Giovanni. Pur essendo anno in cui si legge Marco, la liturgia apre il ciclo domenicale del tempo ordinario con i primi discepoli che seguono Gesù nel racconto giovanneo.
Siamo all’inizio del Vangelo, dopo la lettura del Prologo, che ci ha accompagnati nel tempo di Natale, e l’incontro con Giovanni, il Battista. Inizia, a questo punto, una scansione temporale con l’espressione ripetuta “il giorno dopo”, che costruisce su sette giorni i primi eventi della vita pubblica di Gesù. Nel brano di oggi la liturgia toglie l’espressione “il giorno dopo”, che è invece molto importante, perché colloca l’incontro dei primi discepoli con Gesù nel terzo giorno. Questa indicazione rimanda immediatamente al terzo giorno della creazione, quando sulla terra comincia a sbocciare la vita:
Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l’asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona. Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne. E la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno. (Gen 1, 9-13)
Ma rimanda anche a un altro “terzo giorno”, quello della Resurrezione. Un’annotazione temporale, allora, che ci colloca subito in uno spazio di vita: la vita che germoglia dove non c’è nulla, la vita che, soprattutto, rinasce, risorge dal luogo che più di tutti ne è la negazione, la morte.
L’incontro con Gesù è sempre un evento di vita, di resurrezione. Forse è questo che Giovanni ci vuole dire: per i discepoli l’incontro con Gesù è stato fin dal primo istante segnato da una novità assoluta. Non era come gli altri rabbi anche se sapienti, innamorati di Dio e della sua Parola. Gesù è diverso. Sa raggiungere il cuore di ciascuno, svelarlo a loro stessi e riempirlo di Lui che è la vita.
La novità di vita che ha travolto con la sua potenza l’esistenza dei discepoli è sottolineata dall’evangelista anche da un’altra annotazione temporale: “erano circa le quattro del pomeriggio”, in greco “ora decima”. Una precisione straordinaria se si pensa quanti anni dopo è stato scritto il Vangelo! Un’ora che si è impressa nel cuore, indelebile, ed è diventata l’ora della rinascita, dell’incontro con la luce abbagliante della Vita vera.
Perché non ritornare, in questa domenica e in questa settimana, all’ora decima della propria vita? A quel terzo giorno e a quel momento preciso in cui il Signore è passato nella tua esistenza e si è voltato verso di te, guardandoti, chiamandoti a seguirlo nelle diverse forme in cui questa sequela si è espressa nella tua esistenza? Riservati uno spazio di tempo in cui fare memoria del momento o dei momenti in cui hai fatto la stessa esperienza dei discepoli. Potresti poi raccontarcela, scriverla e inviarcela, condividendo la tua esperienza con il Signore.
Potremmo così vivere insieme la catena ininterrotta di trasmissione della fede che l’apostolo descrive nella prima lettera (1Gv 1,1-4):
Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi – , quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.
Il Battista indica Gesù ai suoi discepoli, ed essi lo seguono. La figura di quest’uomo nel Vangelo di Giovanni è di una statura enorme: è l’amico dello sposo, è colui che prepara la strada alla sua venuta, non è protagonista, non si arroga un compito che non è suo. Sa fare un passo indietro e in questo trova la sua gioia.
Immediatamente l’attenzione si sbilancia su Gesù che, apparentemente, sta camminando senza porre attenzione a Giovanni e ai suoi discepoli, che all’indicazione del Battista cominciano a seguirlo. Gesù è di spalle, e i due discepoli sono dietro a lui: scena che mostra l’atteggiamento del discepolo, che per conoscere Gesù può solo camminare dietro a lui, seguirlo nel suo cammino. Nel momento in cui cominciano a seguirlo Gesù si volta e pronuncia le sue prime parole nel Vangelo di Giovanni: “Che cosa cercate?”. Questa domanda ricorrerà in altri due momenti importanti del Vangelo, passando dal “che cosa” al “chi”: durante la Passione, quando i soldati vanno a cercarlo nell’Orto degli Ulivi (“Chi cercate? 18,4) e il mattino della Resurrezione, quando si manifesterà alla Maddalena in pianto (“Chi cerchi? 20,15).
Sembra che l’evangelista voglia porre a noi questa domanda: cosa cerchi? Chi cerchi? Una domanda importantissima nella vita di ogni giorno: ciò che cerchiamo decide della direzione della nostra vita, decide di ciò cui diamo valore, per cui spendiamo tempo, decide del tesoro cui vogliamo legare il nostro cuore. Che cosa cerchi? Chi cerchi nelle tue giornate? Che cosa muove il tuo cuore?
Gesù pone loro questa domanda guardandoli in volto, uno sguardo che arriva al fondo del cuore, e loro capiscono che Colui che hanno davanti è il Messia, è davvero l’atteso. Ma non solo l’atteso di Israele, non solo l’atteso per, come forse credevano, la liberazione politica della Terra Santa dal potere romano, ma l’atteso della loro esistenza, Colui che con il suo sguardo riempiva di senso e di bellezza quell’esistenza insoddisfatta, insufficiente.
È solo da un’esperienza così grande di amore e di bellezza che può nascere un annuncio capace di attrarre altri: Andrea incontra Simone, e lo conduce da Gesù. Lo stesso sguardo che aveva sperimentato lui ora raggiunge suo fratello, un pescatore di Galilea, che si sente restituire la sua identità più profonda. Non sarà il suo entusiasmo spesso istintivo, non sarà la sua pusillanimità a dire chi è Simone fino in fondo, ma il nome che Gesù gli dà: “Sarai chiamato Cefa” che significa Pietro. L’incontro con Cristo diventerà la roccia del suo cuore, l’incontro con il suo sguardo, sperimentato nel momento del rinnegamento e poi ancora sulle rive del lago di Tiberiade dopo la Resurrezione, dove la misericordia infinitamente più grande del tradimento farà di Pietro l’uomo capace di dare la vita per il suo amato Maestro.
Un brano bellissimo, ricchissimo, che non ha bisogno di commenti ma di contemplazione, di preghiera. Vuole farci incrociare lo sguardo del Signore, farci rimanere, come i discepoli, dove il Signore abita. Vuole rimetterci in cammino dietro a lui, con il cuore pieno di gioia perché il Suo amore si è fatto incontrare, si è posato su ciascuno di noi, ha pronunciato il nostro nome.
Clarisse Monteluce S. Erminio
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