Il 17 settembre la famiglia francescana celebra la festa dell’Impressione delle stimmate di San Francesco. Siamo nel 1224. Intorno alla festa dell’Esaltazione della Croce, il 14 settembre, Francesco si trova alla Verna, durante una delle quaresime con le quali costellava l’anno, precisamente quella che dalla festa dell’Assunzione di Maria andava alla festa di San Michele Arcangelo il 29 settembre.
Tommaso da Celano, antico biografo e frate francescano, racconta lo svolgersi dell’evento e ne dà anche una chiave interpretativa. Nel suo racconto, utilizza anche immagini simboliche, che mirano a far cogliere il significato mistico della visione: il serafino crocifisso. Nel serafino è adombrata l’intensità dell’amore; nel crocifisso è invece evocato il dolore della passione. Amore e dolore, congiunti indissolubilmente nel Signore Gesù. I Fioretti porranno sulle labbra di Francesco, proprio il giorno della festa della Santa Croce, una preghiera che, nella sua profonda intensità, è preludio alle stimmate:
“Viene il dì seguente, cioè il dì della santissima Croce, e santo Francesco la mattina per tempo innanzi dì si gitta in orazione dinanzi all’uscio della sua cella, volgendo la faccia inverso l’oriente, e orava in questa forma:
«O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione; la seconda si è ch’io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori».
E stando lungamente in cotesto priego, sì intese che Iddio lo esaudirebbe e che, quanto è fusse possibile a pura creatura, tanto gli sarebbe conceduto di sentire le predette cose. In brieve, avendo santo Francesco questa promessa, comincia a contemplare divotissimamente la passione di Cristo e la sua infinita carità. E crescea tanto il fervore in lui della divozione, che tutto sì si trasformava in Gesù, e per amore e per compassione. E istando così` infiammandosi in questa contemplazione, in quella medesima mattina e’ vide venire dal cielo uno Serafino con sei ali risplendenti e affocate; il quale Serafino con veloce volare appressandosi a santo Francesco, sì ch’egli il potea discernere, e’ conobbe chiaramente che avea in sè l’immagine d’uomo crocifisso, e le sue ali erano così disposte, che due ali si distendeano sopra il capo, due se ne distendeano a volare e l’altre due si copriano tutto il corpo. Veggendo questo, santo Francesco fu fortemente ispaventato e insieme fu pieno d’allegrezza e di dolore con ammirazione. Avea grandissima allegrezza del grazioso aspetto di Cristo, il quale gli apparia così dimesticamente e guatavalo cosi graziosamente: ma da altra parte veggendolo crocifisso in croce, aveva smisurato dolore di compassione. Appresso si maravigliava molto di così istupenda e disusata visione, sapendo bene che la infermità della passione non si confà colla immortalità dello ispirito serafico.”. (Fioretti 3ConsStim; FF 1919).
Francesco è totalmente immerso in una dinamica pasquale di croce e di risurrezione, amore e dolore, morte e vita; le stimmate, segno di dolore, sono anche il segno di riconoscimento del Risorto, le piaghe gloriose, le ferite diventate feritoie, come ama dire Papa Francesco. Sono il segno maturo del compimento di un percorso pasquale che lo Spirito ha compiuto in Francesco, attraverso tutti gli eventi, le vicende interiori ed esteriori dalle quali il santo si è lasciato docilmente plasmare.
Le stimmate sono il segno evidente che l’amore di Cristo è un amore incarnato, che tocca il corpo, lo cambia, lo configura e lo conforma al Suo. La fede cristiana è fede di incarnazione, non dobbiamo mai dimenticarlo.
Da questo evento scaturisce una delle preghiere più belle di tutta la cristianità: Le lodi di Dio Altissimo, il testo forse più alto uscito dal cuore e dalla penna di Francesco, un cuore trapassato dal mistero pasquale di Cristo.
È una preghiera che si effonde in uno sguardo contemplativo sul Signore, uno sguardo che comunica un’intimità profonda tra Francesco e Cristo, dentro uno stupore che si esprime in parole che si rincorrono, quasi cercando di dire il mistero, mai però di afferrarlo e definirlo. Una lunga litania di “Tu sei…”: finalmente ora il centro della vita e del cuore di Francesco è quel “TU” che è amore fino al dono di sé nella morte. Ecco il testo:Da
Tu sei santo, Signore solo Dio, che compi meraviglie.
Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo,
Tu sei onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra.
Tu sei trino e uno, Signore Dio degli dei,
Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene,
Signore Dio vivo e vero.
Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza,
Tu sei umiltà, Tu sei pazienza,
Tu sei bellezza, Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
Tu sei gaudio e letizia, Tu sei la nostra speranza,
Tu sei giustizia e temperanza,
Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza.
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore, Tu sei custode e difensore,
Tu sei fortezza, Tu sei rifugio
Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede,
Tu sei la nostra carità, Tu sei tutta la nostra dolcezza,
Tu sei la nostra vita eterna,
grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
In questa preghiera non ci sono richieste, domande, non c’è neanche espressione di memoria o gratitudine per i doni del Signore, non c’è sguardo rivolto a sé. È pura lode, che sgorga da un cuore totalmente afferrato dal Tu di Dio, totalmente orientato a Lui, rapito dalla sua bellezza. Qui Francesco porta a compimento quel cammino iniziato con la spogliazione davanti al Vescovo Guido: un uomo libero di sé, spogliato di quell’egocentrismo che ci pone continuamente al centro dell’universo. Finalmente liberato da questa zavorra, può cantare Colui che è l’Amore. Uomo compiuto, realizzato pienamente nel dono di sé al Signore che lo ha creato.
Sia anche il nostro cammino e la nostra meta.