V Domenica di Pasqua

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C’è il momento in cui rispondi il tuo sì alla vocazione e c’è il momento in cui questa trova la sua massima espressione: quando ti trovi coinvolto in uno spazio e in un tempo che ti chiede di consegnare totalmente il dono di te in quella forma che hai intuito e abbracciato da tempo.
 
È questo il sentimento col quale ci siamo sentite coinvolte nel difficile momento in cui il covid-19 ha fermato la vita del mondo intero.

Le prime notizie che ci hanno raggiunte: la telefonata di un amico ricoverato, di un medico che racconta l’urgenza sanitaria, lo Stato che si mobilita per fermare – in modo mai accaduto prima – il nemico invisibile, hanno “catapultato” il nostro dialogo con il Signore in un’unica grande preghiera di intercessione. È divenuto subito chiaro che non solo l’atto del pregare, ma la nostra stessa vita, la sua carne, con i pensieri e i sentimenti che la abitano, dovesse farsi intercessione.

L’atmosfera che ci raggiungeva portava il peso di un’umanità che colta all’improvviso, veniva privata di tutte le sicurezze ed emergeva fragile, impaurita e ferita. E… in cerca di una Certezza più grande. “Voi mi cercherete e mi troverete – dice il Signore- perché mi cercherete con tutto il cuore” Ger 29, 13. Il nostro cuore si è caricato di questa ansia ed è sceso in prima linea in preghiera per tutti.
Nel gesto di santa Chiara che per difendere le Sorelle e la città di Assisi, scese incontro all’avanzata dei Saraceni tenendo fra le mani il Corpo del Signore custodito nella cassetta di avorio, abbiamo “collocato” l’intera nostra vita, unita a Cristo, nel mistero dell’intercessione. In quel gesto eucaristico tutta la nostra vita è divenuta intercessione, offerta. Come se tu la offrissi da tempo, ma c’è un momento in cui viene presa e il tuo dono portato a compimento.
 
Tutto ciò si è fatto chiaro in particolar modo davanti alla parola “isolamento” alla quale il virus, in questo momento, costringe tutti. Isolamento che pesa non solo su chi è contagiato e su chi ancora non lo è, ma anche su chi si trova in ospedale, nella sofferenza della malattia, senza il conforto di una presenza accanto. Isolamento che diventa insostenibile quando sai che chi muore, oggi è costretto a morire da solo, senza un saluto, senza un contatto che ti dice che la tua vita è stata importante per qualcuno, senza una parola e… soprattutto senza neanche una preghiera, una benedizione, senza i sacramenti e il congedo della Chiesa. Senza quel viatico che rende luminoso il passaggio che devi affrontare, da solo –certamente-, ma che una Mano tesa può sostenere la tua e condurti verso Casa, dove il Padre celeste ti attende sulla soglia.

Chi non vorrebbe avere -in quel passaggio delicato- una Mano tesa? Quella mano che ferma l’avanzata delle forze del male -come le fermò santa Chiara-, quel male che ti fa dubitare dell’amore di Dio e della sua presenza luminosa? Chi non vorrebbe essere sostenuto dalla certezza dell’amore di Dio proprio in quel momento decisivo?

Questa mano tesa è la preghiera: la preghiera di Gesù che nell’ultima Cena ha offerto se stesso per noi “questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi” e la preghiera nostra, unita alla Sua: “Fate questo in memoria di me”.
Stiamo vivendo la celebrazione eucaristica quotidiana con grande responsabilità perché carica di tutte queste situazioni e di tante altre, carica di quel grido soffocato che tenta di elevarsi fino al Cielo e carica della presenza di ciascuno di voi che non potendo partecipare in prima persona alle celebrazioni, potete attingere alla preghiera della Chiesa. Potete unirvi al sacrificio di Cristo unendovi alla nostra celebrazione, perché il nostro celebrare non è solo per la nostra comunità, ma per tutti voi. Celebrazione eucaristica che si prolunga nell’Ufficio Divino, come sempre, e nell’Adorazione eucaristica, che in questa situazione di emergenza abbiamo deciso di fare ogni giorno. E ci siamo commosse davanti al gesto di Papa Francesco di concedere l’Indulgenza plenaria che attinge la sua forza proprio da questo bacino ecclesiale, dal tesoro della Chiesa.
Così anche la Chiesa vive il suo stato di emergenza e vi fa fronte con tante risorse nascoste che forse non sapevamo neanche di avere, come la comunione spirituale o la recita di una atto di dolore che in forza dell’Indulgenza ottiene la misericordia del Signore.

La nostra vita contemplativa ci chiama non solo a portare ciascuno nel sacrificio eucaristico, ma anche a custodire la vita di tutti sotto lo sguardo del Signore Gesù che –paradossalmente- vede il riqualificarsi delle nostre relazioni: in questo tempo, chi è messo alla prova nell’isolamento in casa e chi è provato in prima linea nell’emergenza sanitaria, può ritrovare in sé un cuore che batte per il fratello, può ritrovare quello che davvero conta nella vita.

E tanti miracoli, piccoli e grandi, già si vedono, già il Signore Gesù li sta suscitando nell’animo umano che non è morto, si era solo assopito sotto la coltre del “tutto e subito” che svuotava di senso ogni fatica dell’amore.
Affidiamo ciascuno di voi all’opera sapiente del Suo Amore, alla mano che Lui ci tende perché possiamo afferrarla e tornare a vedere la luce.
 
Le vostre sorelle Clarisse

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