L’oggi della salvezza

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XXXIII Domenica del Tempo Ordinario C (Lc 21,5-19)

Il brano della penultima domenica dell’anno liturgico richiama la nostra attenzione sul senso profondo della nostra realtà presente. Ci toglie il velo che le nostre paure e i nostri errori ci hanno messo davanti agli occhi e ci permette di vedere quella realtà che è la parola definitiva sul mondo, una parola di vita e non di morte, di trasformazione, svelamento e non di distruzione.

Luca attribuisce molta importanza ai temi escatologici, e la pericope di questa settimana è una parte della “grande apocalisse” del suo Vangelo.

Gesù è giunto a Gerusalemme, ha concluso il suo lungo viaggio e si trova nel tempio. Alcuni ammirano il tempio e i suoi ornamenti. Ciò che desta l’ammirazione dei presenti è l’opera delle mani dell’uomo, e Gesù risponde con una profezia (verranno giorni) che annuncia la distruzione di tutto questo, invitando a non lasciarsi ingannare dalle apparenze effimere, per quanto belle e maestose.

Probabilmente le parole pronunciate da Gesù sulla distruzione del tempio non sono state comprese, e i presenti chiedono informazioni riguardo al tempo in cui avverrà e quale ne sarà il segno. Ma egli non risponde, piuttosto mette in guardia contro tutto ciò che può essere interpretato come segno della fine. Lo sguardo di Gesù non si ferma alla superficie, si pone su un piano di profondità che sfugge ai presenti, fermi invece all’apparenza, fermi a un piano superficiale della realtà. Non è questione di chiedere quale sarà la fine del mondo, ma qual è il fine del mondo, della realtà, della propria vita. La questione si pone sull’oggi, su quello spazio di esistenza che è unico e irripetibile, nel quale la nostra libertà è chiamata a esprimersi in pienezza. Le distruzioni, le catastrofi ci saranno sicuramente, così come anche il tempio finirà, ma questo non indica la fine della storia, come i falsi profeti, invece, interpreteranno.

Ciò che appare può appannare la realtà, la può camuffare. Anche l’opera più bella, come il tempio, può impedire allo sguardo di raggiungere la vera bellezza: che cosa è più importante, il tempio o Colui che, del tempio, è il senso? Colui che lo abita? Le parole di Gesù sulla fine del tempio – e non dimentichiamo che quando Luca scrive il tempio era già stato distrutto – vogliono far puntare il cuore all’essenziale, ricordare che ciò che conta è, appunto, il presente. Solo nell’oggi è possibile incontrare Colui che non passa, non può essere distrutto, che è il fine di ogni istante di vita.

Al v. 9 Gesù dice che tutto questo deve avvenire: è necessario che avvenga, perché? Perché tutto questo male deve abbattersi sull’uomo?

È il mistero del male che vuole distruggere l’opera di Dio e che si manifesta in tutta la sua potenza distruttrice, perché il male può solo distruggere. Si abbatte sull’uomo così come ancor più si è abbattuto sul Figlio di Dio. Perciò non bisogna più temere, perché Egli, caricandosene, l’ha svuotato della sua capacità di morte. Non temete, dice Gesù alla fine del brano di questa domenica, perché neanche un capello del vostro capo perirà.

La persecuzione che assilla i discepoli, allora come oggi, diventa lo spazio della testimonianza, in cui fare esperienza della fedele presenza del Signore. È per Lui che i discepoli sono perseguitati, non per altro, non per un ideale, non per una giustizia umana, ma per Lui, per l’attaccamento, la fedeltà, l’amore a Lui, che vale più della vita (Sl 63,4). I discepoli sanno che, nella persecuzione, possono affidarsi al Signore nel quale hanno riposto tutta la loro fede.

E Gesù stesso diventerà presente attraverso questa testimonianza, attraverso i suoi discepoli potrà continuare la sua opera di far conoscere il Padre e il suo amore per gli uomini.

Un Vangelo che davvero vuole rafforzare la nostra fiducia oggi, rischiarare la nostra vita. Non ci sono, forse dei templi da abbattere, persecuzioni, divisioni così forti, ma quante volte dobbiamo scegliere tra il compromesso e la testimonianza, tra una vita che si ferma alla logica del mondo e le scelte controcorrente, perché fondate sulla fede, che aprono lo spazio dell’infinito?

In quante situazioni difficili, dolorose ci troviamo, e possiamo scegliere se fermarci alle difficoltà e perdere la speranza, oppure lasciarci guidare dalla fede, affidarci a Lui, confidando nella Sua parola?

Non è un vangelo che parla di una storia passata o di catastrofi future, ma della fede amorosa che deve guidare il nostro oggi.

 

“Chi non ha mai fatto l’esperienza di essere confrontato con la minaccia di morte non può sapere cosa vuol dire esserne stato salvato. Allo stesso modo, non vi è conoscenza della libertà per chi non ha mai provato l’amarezza della schiavitù. Così la forza della ‘sapienza’ sarà data (v.15) solo a quelli che vi rinunceranno, accettando di esserne totalmente spossessati, accettando la follia della croce al punto di non pensare neppure a preparare la propria difesa (v.14). Chi vuole ricevere il dono della vita (vv.18-19), deve per questo essere pronto  a sacrificare la propria (v.16b). Solo chi perde la propria vita ne può ricevere il dono” 

(Roland Meynet, “Il Vangelo secondo Luca. Analisi retorica”, 736. Ed. EDB)

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