31 gennaio 2021 – Quarta Domenica del Tempo Ordinario
Il brano che la liturgia della IV domenica del tempo ordinario ci offre si apre con un cambiamento di luogo e di tempo dal brano che precede: siamo a Cafarnao, di sabato, in sinagoga.
Entriamo nella famosa giornata di Cafarnao, che non è solo un’unità cronologica ma, nell’intenzione di Marco, è la giornata messianica, che si realizza in mezzo ai giorni della gente. Questa giornata messianica diventa anche la giornata-tipo di Gesù:
- insegnamento nella sinagoga;
- esorcismo;
- guarigione della suocera di Pietro;
- la sera con molte altre guarigioni;
- la preghiera al mattino presto;
- la predicazione
Non è una giornata che, come sempre accade, si chiude alla sera con il cessare delle attività e il riposo, ma potremmo dire che si chiude aprendosi, affacciandosi sull’alba con la preghiera e la partenza di Gesù per la missione, quasi a dire che il giorno messianico entra nella storia e la apre, la trascina nella Vita, che è la vita di Gesù. È un preludio a quella sera in cui Cristo attraverserà la notte della morte per aprirla definitivamente alla luce dell’alba della Resurrezione.
Gesù entra, appunto nella storia vivendo la vita degli uomini. È Cafarnao, una cittadina piena di attività con tanta gente in movimento, indaffarata e impegnata nella pesca e nel commercio. Sceglie di stare con la gente, dove questa vive e lavora. E inizia la sua predicazione proprio dove la gente si riunisce abitualmente: di sabato in sinagoga.
Il brano è scandito dalla ricorrenza dei termini insegnamento/insegnare, διδαχή – didaché – che ricorre 4 volte in tre versetti (21.22,27). L’accento non è posto sull’insegnamento in sé, sul che cosa ~ raramente Marco precisa l’oggetto dell’insegnamento di Gesù -, quanto piuttosto sul come: con exusia – έξουσία – autorità, Marco volge l’attenzione sulla persona di Gesù, cosa che fa ripetutamente durante il suo Vangelo, e il come insegna dice l’originalità della sua persona, del suo mistero. Egli insegna una dottrina nuova, non nei contenuti, ma nella qualità dell’annuncio: è Gesù stesso ad imprimere una novità, perché la Parola che annuncia è fondata su di lui, sulla sua persona. È lui che la rende credibile, è la stessa credibilità e autorità per cui i primi discepoli hanno accolto la sua chiamata e si sono messi alla sua sequela. Pochi versetti prima (v. 11 ) Marco aveva proclamato l’identità di Gesù: è il Figlio di Dio, e su questa proclamazione fonda ora l’autorità del suo annuncio e della sua persona. Siamo dentro il mistero della figliolanza che segna tutto il percorso del vangelo, che è un cammino, una strada verso la proclamazione solenne del centurione ai piedi delia croce: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!. (Mc 15,38). Tale autorità consiste nel potere che Gesù ha di realizzare ciò che annuncia. Insegna la presenza dì Dio e mostra all’opera questa presenza, liberando l’uomo dal potere di satana. Gli uditori sono meravigliati del suo insegnamento, anche perché Gesù, a differenza degli scribi, lo pone sotto la sua stessa autorità, e non appoggiandosi su quella di grandi maestri.
Questo avviene in un luogo – sinagoga – in un tempo – sabato, centrali per la fede dì Israele: sono come due vettori che puntano sul centro del giudaismo, un luogo santo e un tempo santo. Sono il luogo e il tempo in cui Israele fa memoria della storia della salvezza, attraverso l’ascolto della Parola. In questo centro, Marco colloca Gesù e, con Gesù, il Regno. Pone Gesù al cuore della storia di Israele, in quanto ne è il senso, il compimento, colma l’attesa del popolo dell’alleanza, e così lo pone al cuore della storia e della vita del discepolo. Mettendo in rapporto il giudaismo e il Regno, inserisce la parola di Gesù nel luogo santo in cui si proclama la parola di Dio.
In questa pericope c’è il primo miracolo di Gesù nel vangelo di Marco; oltre il 40% della sua opera è dedicato al racconto di fatti prodigiosi. Marco ama presentare l’agire di Gesù: Egli è colui che dice e fa, e i miracoli segnano la vita di Gesù fino alle porte di Gerusalemme, al capitolo 11. Cessano con l’ingresso in Gerusalemme: saranno le sue opere a portarlo alla morte, e la croce diventa il miracolo per eccellenza: quello che ha fatto maturare la professione di fede.
Per Marco i miracoli sono prevalentemente esorcismi, in quanto mostrano la lotta escatologica che il Cristo sta conducendo contro Satana. In modo significativo, dunque, l’evangelista sceglie dì raccontare come primo miracolo proprio la guarigione dell’indemoniato nella sinagoga di Cafarnao.
Marco mette così a contatto, nel cuore del giudaismo, due presenze, due identità: Cristo e Satana, la presenza del Regno e dell’avversario.
Dicendo «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? lo so chi tu sei: il santo di Dio!», lo spirito impuro vuole delimitare, salvare uno spazio da trattenere per sé, dove Gesù non c’entra, un luogo dove può mantenere una presenza nascosta dentro la realtà. Ma la santità e l’impurità sono due realtà contrapposte, non possono convivere, stare l’una di fronte all’altra, perché c’è una radicale alterità tra il mondo dì Dio e quello del male. Ed è forte l’ironia del brano: è proprio lo spirito impuro che, sentendosi minacciato, riconosce in Gesù il Santo di Dio, mentre i presenti non sanno riconoscerlo. Gesù, il Santo di Dio, entra nello spazio santo che è la sinagoga, e con la sua autorità di Figlio, fa tacere lo spirito impuro, comandandogli di uscire dall’uomo, dallo spazio del suo corpo e della sua vita, che viene così restituito alla sua dignità di spazio per Di. Gesù, che è Parola portatrice di vita, impone il silenzio, non entra in dialogo con il male, ma lo zittisce e lo scaccia. Ci troviamo per la prima volta di fronte al comando del silenzio sull’identità di Gesù, che caratterizza la prima parte del testo di Marco, il cosiddetto segreto messianico.
Risulta interessante il confronto con il testo parallelo di Le 4,31-37, in cui si afferma (v. 35) che il demonio usci da quell’uomo: “senza fargli alcun male”. Marco ci mostra in modo drammatico il potere del male e la vittoria di Gesù accentuando la forza dello scontro. Ritroviamo questo accento anche in occasione del ragazzo epilettico (9,14-29, in particolare i vv. 26-27).
Questo miracolo viene ricompreso e riletto dai presenti come una nuova dottrina, che scatena una lotta, una polemica, perché manifesta il male (l’indemoniato è nella sinagoga, in un luogo santo, e nessuno sapeva della sua presenza), ma ha anche il potere di sconfiggerlo.
È così che allo stupore iniziale fa eco ora il timore, lo sbalordimento dei presentì, e di fronte all’agire di Gesù, alla potenza e all’autorità della sua parola sorge la domanda su di lui, sulla sua identità domanda che ci accompagnerà lungo l’intero Vangelo: Chi è Costui?
Clarisse Monteluce S. Erminio