Il Vangelo della quinta domenica di quaresima, ci propone il brano della risurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-45). È il settimo e ultimo segno che Gesù compie. Il Vangelo di Giovanni li chiama “segni” proprio perché non sono solo semplici miracoli, che rimandano alla potenza di Gesù, ma perché sono manifestazioni (“segni”) dell’amore di Dio per l’uomo, lì nelle situazioni in cui egli si trova a vivere. Dio entra con la forza dirompente della vita lì dove la vita dell’uomo si sta spegnendo o è messa a dura prova.
Potremmo scorrere i sette segni e vedere come Gesù entra nella debolezza dell’uomo e la riempie di forza e di gioia. Dio non vuole la morte e la tristezza, ma la gioia, la vita, la pienezza. Egli interviene in una festa di nozze per ridare, attraverso un vino migliore, quella gioia che stava spegnendosi (Gv 2.1-11). Raggiunge l’uomo malato (Gv 5,1-9), che soffre ed è preoccupato per il figlio (Gv 4,46-54), l’uomo che ha fame (Gv 6,1-14), che ha paura (Gv 6,15-25), che non sa vedere (Gv 9,1-8). Egli raggiunge l’uomo perfino nella sua morte, come nel vangelo di questa domenica.
Ci domandiamo, soprattutto in questi giorni così provati: perché ci deve essere tanta sofferenza, tanta paura, di chi è la colpa? Il Vangelo ci viene incontro e ci aiuta a dare una lettura che ci apre il cuore. Nel vangelo di domenica scorsa (il sesto segno, il cieco nato) Gesù rispondendo ai discepoli che chiedevano di chi era la colpa della cecità di quell’uomo, dice: “è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. E nel vangelo di questa quinta domenica di quaresima Gesù dice, riferendosi alla malattia e poi alla morte di Lazzaro: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”. La sofferenza, la debolezza, la malattia, la morte fanno parte di questa nostra vita, ma non sono l’ultima parola. L’ultima Parola è solo quella della Vita che Dio pronuncia su ogni uomo e su tutta la creazione. Una Parola che si è fatta amica dell’uomo. Gesù si è fatto amico, vero amico, amico umano di Lazzaro e delle suo sorelle. Si è fatto “amico di famiglia” per dire a ciascuno di noi: io sono tuo amico, sono dalla tua parte e vorrei entrare nella tua casa per portare ciò che Io sono, la vita piena, la vita che non muore, la vita eterna e la gioia.
In questo lungo brano del Vangelo che ci raggiunge oggi, tutte le parole sono dense di amicizia, di amore, di comunione e di partecipazione affettiva di Gesù per Lazzaro e la sua famiglia. Poteva intervenire prima che Lazzaro morisse… lo lascia trasparire anche la sorella Marta: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” Anche noi potremmo dire: “Potresti evitare che tanti fratelli e sorelle muoiano!” Lui però risponde a noi, come ha risposto a Marta: “Tuo fratello risorgerà… Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”
“Credi tu questo?”
Credi che Io sono presente e che nulla sfugge al mio amore, che non amo vedere la sofferenza e la morte, ma che tutto trasformo in vita?
Siamo tutti molto ciechi di fronte a questo interrogativo, e come il cieco nato abbiamo bisogno che il Signore ci apra gli occhi della fede e ci faccia entrare in una capacità di sguardo che sappia penetrare lo scandalo delle apparenze. E lì dove la morte sembra debba sempre vincere, scoprire che la vita rompe ogni barriera. Perciò egli su ciascuno pronuncia una parola di vita: “Lazzaro, vieni fuori!” Non ci sono più pietre tombali o sudari a legare l’uomo amico di Cristo, egli può uscire senza danno da ogni possibile disfacimento in cui si trova. La vita in Cristo vince la morte, già ora. È ormai l’anticipo della Pasqua.