Figli della resurrezione, perché figli di Dio

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La liturgia della XXXII domenica del Tempo Ordinario ha al suo centro la fede nel Dio dei viventi.

La prima lettura si riferisce a un tempo molto drammatico della storia di Israele, alla reazione di fronte al tentativo di ellenizzare il popolo da parte di Antioco IV Epifane, uno dei successori dopo la morte di Alessandro Magno. Ellenizzare Israele significa togliergli la sua identità, costringere il popolo a rinnegare la sua storia, ad assumere usi, costumi, divinità di un altro popolo, dopo aver fatto esperienza viva dell’unico vero Dio.

Un tentativo, peraltro, non lontano dai nostri giorni, dove questo avviene in modo incruento, almeno nella nostra Europa, e ci rende molto vicino questo libro, che a prima vista può apparire distante per il racconto di fatti molto lontani nel tempo. In realtà è testimonianza viva di una fede vissuta, che entra in tutti gli anfratti dell’esistenza e ne riconosce l’appartenenza piena al Signore, a Colui cui appartiene ogni istante e ogni membro del nostro corpo. Una fede davvero incarnata, che conduce a una testimonianza eroica.

Alla luce di questa fede, possiamo leggere il brano del Vangelo, che può anch’esso apparire lontano. Leggendolo attentamente, però, possiamo notare subito la ricorrenza della parola morte/morire: nella prima parte, vv. 27-32 ricorre ben quattro volte, e racconta una storia di generazione fallita sette volte e che per otto volte sfocia nella morte.

Nella seconda parte, dal v. 34 al 38, sulla bocca di Gesù ricorre tre volte. Sette volte in totale, ma l’uso tra la prima e la seconda parte è molto diverso. I sadducei, che non credono alla risurrezione, stanno mettendo alla prova Gesù, e pur citando la resurrezione dei morti – v. 33 – in realtà parlano della morte come unico orizzonte finale dell’esistenza. Un uomo che muore senza figli non ha possibilità di continuità e con la fine della sua vita finisce tutto. La legge del levirato (Dt 25,5-10) serviva a conservare il nome del defunto in modo che non fosse cancellato in Israele. Una donna sterile, che non può avere discendenza, è una donna che porta in sé la morte e non la vita, che non è in grado di realizzare la vocazione che è inscritta nel suo essere.

Conosciamo il dramma della sterilità nella Scrittura, che diventa invece lo spazio della vita grazie all’intervento di Dio, la stessa storia di Israele nasce dalla sterilità di Sara, ma possiamo ampliare l’orizzonte e affermare che, in fondo, la sterilità è il punto di partenza di ogni vita, perché la generazione umana non può dare una vita senza fine: questa è dono solo della grazia di Dio, frutto della Pasqua del Figlio.

Ed ecco che alla domanda insidiosa dei sadducei, Gesù risponde accostando alla morte parole di vita: resurrezione dai mortinon possono più morireDio non è dei morti, ma dei viventi. Non usa mai la parola morte da sola, in senso assoluto. No, la morte è relativa, è in relazione alla vita, e questa è vincente: il nostro è il Dio dei viventi, non dei morti, è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, che ci parlano di una vita ricevuta e trasmessa contro la sterilità e la morte. La vita è ricevuta e, proprio perché ricevuta, è trasmessa: la vita si conserva, cresce solo nella misura in cui si dà. Una vita che non si trasmette, che si trattiene, è una vita che si estingue, che si perde. Dare la vita. Gesù capovolge la prospettiva. Non un dare secondo le regole umane, non una vita che perdura se si trasmette nei figli, ma solo riponendo ogni fiducia nel Dio della vita, l’unico che è veramente il Vivente. Ciò che ci definisce, che ci parla di eternità è la figliolanza divina che portiamo incisa nel nostro essere. Siamo figli della resurrezione, perché figli di Dio. È questo che ci definisce nel profondo, è questo il seme di eternità che portiamo nel cuore e che già oggi germoglia fin quando sarà nella pienezza del Regno.

È bellissimo vedere che già nell’Antico Testamento, prima dell’evento di Cristo, la certezza della resurrezione si stava facendo strada nella fede dei credenti. È l’opera silenziosa e paziente dello Spirito, che conduce la storia non solo attraverso i grandi eventi, ma attraverso il cammino del cuore umano, educandolo, formandolo rendendolo capace di accogliere la parola di vita e di verità di Dio.

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