L’amore che guarisce

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14 febbraio 2021 Sesta domenica del Tempo Ordinario anno B

La liturgia della sesta domenica del tempo ordinario dell’anno B pone al centro la guarigione di un uomo colpito da una malattia gravissima, al tempo di Gesù considerata impura. Malattia che aveva gravi conseguenze non solo sul corpo del malato, ma su tutta la sua vita. Il lebbroso era costretto a vivere segregato, non poteva avvicinarsi ai luoghi abitati, se si avvicinava a qualcuno doveva segnalare la sua presenza, come ben ci fa comprendere la prima lettura. Comprendiamo, allora, il coraggio che ha avuto ad avvicinarsi a Gesù e il gesto scandaloso compiuto da Gesù di toccarlo.

Come ogni malattia, anche la lebbra non riguarda soltanto il corpo. Infatti diventa ben presto segno di un male più profondo, quello del peccato. La devastazione del corpo che questo male provoca rappresenta la devastazione più profonda del peccato. Leggiamo un brano del secondo libro delle Cronache in cui un re, Ozia, diventa lebbroso proprio per il suo grande peccato:

2Cr 26,16-23

La fama di Ozia giunse in regioni lontane; fu infatti straordinario l’aiuto che ricevette e così divenne potente.

Ma in seguito a tanta potenza il suo cuore si insuperbì, fino a rovinarsi. Difatti prevaricò nei confronti del Signore, suo Dio. Penetrò nell’aula del tempio del Signore, per bruciare incenso sull’altare. Dietro a lui entrò il sacerdote Azaria con ottanta sacerdoti del Signore, uomini virtuosi. Questi si opposero al re Ozia, dicendogli: «Non tocca a te, Ozia, offrire l’incenso al Signore, ma ai sacerdoti figli di Aronne, che sono stati consacrati per offrire l’incenso. Esci dal santuario, perché hai prevaricato. Non hai diritto alla gloria che viene dal Signore Dio». Ozia, che teneva in mano il braciere per offrire l’incenso, si adirò. Mentre sfogava la sua collera contro i sacerdoti, gli spuntò la lebbra sulla fronte davanti ai sacerdoti nel tempio del Signore, presso l’altare dell’incenso. Azaria, sommo sacerdote, e tutti i sacerdoti si voltarono verso di lui, che apparve con la lebbra sulla fronte. Lo fecero uscire in fretta di là; anch’egli si precipitò per uscire, poiché il Signore l’aveva colpito. Il re Ozia rimase lebbroso fino al giorno della sua morte. Egli abitò in una casa d’isolamento, come lebbroso, escluso dal tempio del Signore. Suo figlio Iotam era a capo della reggia e governava il popolo della terra.

Le altre gesta di Ozia, dalle prime alle ultime, le ha descritte il profeta Isaia, figlio di Amoz. Ozia si addormentò con i suoi padri e lo seppellirono con i suoi padri nel campo presso le tombe dei re, perché si diceva: «È un lebbroso».

Forse più conosciuto è l’episodio che vede coinvolta Maria, la sorella di Mosè che mormora contro il fratello:

Nm 12,8b-10

“Perché non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?”.

L’ira del Signore si accese contro di loro ed egli se ne andò. La nube si ritirò di sopra alla tenda ed ecco: Maria era lebbrosa, bianca come la neve. Aronne si volse verso Maria ed ecco: era lebbrosa”.

Maria è costretta a rimanere fuori dall’accampamento per sette giorni, fino alla guarigione. Il timore del contagio era molto alto, e questo causava la segregazione del malato. Nell’episodio del Vangelo il lebbroso non solo non contagia Gesù, ma viene risanato, letteralmente purificato: Non è l’impuro a contaminare, ma il Puro a purificare, guarire, risanare.

Con il suo atteggiamento, il lebbroso manifesta una grande fiducia in Gesù. Doveva essere un uomo disperato di fronte a una malattia che causava la perdita di tutto. Gesù, di cui sente parlare perché la sua fama si diffonde ovunque, è la sua unica speranza, ed egli la esprime gettandosi in ginocchio davanti a lui: “Se vuoi, puoi guarirmi”. Un gesto forte, che manifesta tutta l’attesa e il dolore di quest’uomo, ma forse anche una nota di rassegnazione: Se vuoi… Credo che puoi farlo, ma non sono certo che tu lo voglia… Di fronte a questo i codici antichi ci tramandano due diverse reazioni di Gesù: una, quella scelta dalla traduzione della CEI, usa il verbo σπλαγχνισθεὶς splanchnizstheis generalmente tradotto con “mosso a compassione/ne ebbe compassione”. La seconda, invece, il verbo ὀργισθεὶς orghisteis, che significa “essere arrabbiato, arrabbiarsi”. Due verbi molto diversi, che forse possono coesistere. Entrambi indica un movimento profondo che sconvolge le viscere, che provoca una reazione intensa. La compassione di fronte al dolore dell’uomo, la rabbia di fronte alla malattia che devasta e deturpa l’umanità. Forse, possiamo aggiungere, anche il fremito del cuore di Gesù di fronte alla domanda “Se vuoi…”: certo che il Signore vuole la guarigione, certo che il Signore vuole che l’umanità fiorisca in tutta la sua bellezza. “Lo voglio, sii purificato” e non solo guarito. Gesù raggiunge l’uomo lì dove nessun medico può arrivare, guarisce dal peccato che rende lebbrosa la sua umanità, la sua vita. Forse il suo sguardo aveva raggiunto le profondità del lebbroso e riconosciuto quel male più profondo che nessuno poteva vedere, che stava corrodendo da dentro il suo cuore. E lo purifica, lo libera, lo riapre alla relazione con gli altri, con la realtà tutta.

 

C’è un racconto nei Fioretti di San Francesco che commenta molto bene questo brano. È la storia di un uomo lebbroso, curato con amore dai frati. Ma quest’uomo era insopportabile, intrattabile, e i frati stessi non riescono più a servirlo. Le sue bestemmie fanno desistere i frati dal prendersi cura di lui, e ne informano Francesco. Sarà lui allora ad accostare quest’uomo ammalato e a curarlo. Un racconto molto bello, in lingua volgare, da leggere con attenzione.

 

Capitolo XXV

Come santo Francesco
miracolosamente sanò il lebbroso dell’anima e del corpo,
e quel che l’anima gli disse andando in cielo.

Il vero discepolo di Cristo messer santo Francesco, vivendo in questa miserabile vita, con tutto il suo sforzo s’ingegnava di seguitare Cristo, perfetto maestro; onde addivenia ispesse volte per divina operazione, che a cui egli sanava il corpo, Iddio gli sanava l’anima a una medesima ora, siccome si legge di Cristo (40). E però ch’egli non solamente servia alli lebbrosi volentieri, ma oltre a questo avea ordinato che li frati del suo

Ordine, andando o stando per lo mondo, servissono alli lebbrosi per lo amore di Cristo, il quale volle per noi essere riputato lebbroso; addivenne una volta, in uno luogo presso a quello dove dimorava allora santo Francesco, li frati servivano in uno ispedale a’ lebbrosi infermi; nel quale era uno lebbroso sì impaziente e sì incomportabile e protervo, ch’ogni uno credeva di certo, e così era, che fusse invasato del demonio, imperò ch’egli isvillaneggiava di parole e di battiture sì` sconciamente chiunque lo serviva, e, ch’è peggio, ch’egli vituperosamente bestemmiava Cristo benedetto e la sua santissima madre Vergine Maria, che per nessuno modo si trovava chi lo potesse o volesse servire. E avvegna che le ingiurie e villanie proprie i frati  studiassono di portare pazientemente per accrescere il merito della pazienza; nientedimeno quelle di Cristo e della sua Madre non potendo sostenere le coscienze loro, al tutto diterminarono d’abbandonare il detto lebbroso: ma non lo vollono fare insino a tanto ch’eglino il significarono ordinatamente a santo Francesco, il quale dimorava allora in uno luogo quivi presso.

E significato che gliel’ebbono, e santo Francesco se ne viene a questo lebbroso perverso; e giugnendo a lui, sì lo saluta dicendo: «Iddio ti dia pace, fratello mio carissimo». Risponde il lebbroso: «Che pace posso io avere da Dio; che m’ha tolto pace e ogni bene, e hammi fatto tutto fracido e putente?». E santo Francesco disse: «Figliuolo, abbi pazienza, imperò che le infermità de’ corpi ci sono date da Dio in questo mondo per salute dell’anima, però ch’elle sono di grande merito, quand’elle sono portate pazientemente». Risponde lo infermo: «E come poss’io portare pazientemente la pena continova che m’affligge il d`ı e la notte? E non solamente io sono afflitto dalla infermità mia, ma peggio mi fanno i frati che tu mi desti perché´ mi servissono, e non mi servono come debbono». Allora santo Francesco, conoscendo per rivelazione che questo lebbroso era posseduto da maligno spirito, andò e posesi in orazione e pregò Iddio divotamente per lui.

E fatta l’orazione, ritorna a lui e dice così: «Figliuolo, io ti voglio servire io, da poi che tu non ti contenti degli altri». «Piacemi, dice lo ’nfermo; ma che mi potrai tu fare più che gli altri?». Risponde santo Francesco: «Ciò che tu vorrai, io farò`». Dice il lebbroso: «Io voglio che tu mi lavi tutto quanto, imperò ch’io puto sı` fortemente, ch’io medesimo non mi posso patire». Allora santo Francesco di subito fece iscaldare dell’acqua con molte erbe odorifere, poi sì spoglia costui e comincia a lavarlo colle sue mani, e un altro frate metteva su l’acqua. E per divino miracolo, dove santo Francesco toccava con le sue sante mani, si partiva la lebbra e rimaneva la carne perfettamente sanata. E come s’incominciò la carne a sanicare, così s’incominciò a sanicare l’anima; onde veggendosi il lebbroso cominciare a guarire, cominciò ad avere grande compunzione e pentimento de’ suoi peccati, e cominciò a piagnere amarissimamente; sicché mentre che ’l corpo si mondava di fuori della lebbra per lo lavamento dell’acqua, l’anima si mondava dentro del peccato per contrizione e per le lagrime.

Ed essendo compiutamente sanato quanto al corpo e quanto all’anima, umilemente si rendette in colpa e dicea piagnendo ad alta voce: «Guai e me, ch’io sono degno dello inferno per le villanie e ingiurie ch’io ho fatte e dette a’ frati, e per la impazienza e bestemmie ch’io ho avute contro a Dio».

Onde per quindici dì perseverò in amaro pianto de’ suoi peccati e in chiedere misericordia a Dio, confessandosi al prete interamente. E santo Francesco, veggendo così espresso miracolo, il quale Iddio avea adoperato per le sue mani, ringraziò Iddio e partissi indi, andando in paesi assai di lunge; imperò che per umiltà volea fuggire ogni gloria e in tutte le sue operazioni solo cercava l’onore e la gloria di Dio e non la propria.

Poi, com’a Dio piacque, il detto lebbroso sanato del corpo e dell’anima, dopo quindici d`ı della sua penitenza, infermò d’altra infermità; e armato delli sacramenti ecclesiastici sì si morì santamente. E la sua anima, andando in paradiso, apparve in aria a santo Francesco che si stava in una selva in orazione, e dissegli: «Riconoscimi tu?». «Qual se’ tu?» disse santo Francesco. «Io sono il lebbroso il quale Cristo benedetto sanò per li tuoi meriti, e oggi me ne vo a vita eterna; di che io rendo grazie a Dio e a te. Benedetta sia l’anima e ’l corpo tuo, e benedette le tue sante parole e operazioni; imperò che per te molte anime si salveranno nel mondo. E sappi che non è dı` nel mondo, nel quale li santi agnoli e gli altri santi non ringrazino Iddio de’ santi frutti che tu e l’Ordine tuo fate in diverse parti del mondo; e però confortati e ringrazia Iddio, e sta’ con la sua benedizione». E dette queste parole, se n’andò in cielo, e santo Francesco rimase molto consolato.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

Una Parola che ci fa riflettere ma, soprattutto, ci fa sperare: siamo noi i lebbrosi che hanno bisogno di essere guariti. Nelle nostre lontananze, nelle nostre segregazioni, il Signore viene, ci tocca e ci guarisce. Siamo noi i lebbrosi che hanno bisogno della compassione degli altri, di qualcuno che ci accolga nella nostra fragilità e, con il suo amore che è immagine di quello del Signore, ci risani. E siamo ancora noi coloro che possono a loro volta diventare per altri strumento di guarigione. Guariti dall’amore, guariti per guarire.

Clarisse Monteluce S. Erminio

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