La liturgia di questa domenica dopo la Pentecoste – in cui celebriamo la solennità della Santissima Trinità – ci invita a spingere il nostro sguardo verso un orizzonte che si apre sul mistero di Dio.
«Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18).
In Gesù, Dio si manifesta e si rivela all’uomo non come “un’arida verità da credere”, ma come un’intima esperienza di comunione che vuole raggiungere ogni creatura. Con la Pentecoste lo Spirito viene effuso sul mondo perché ogni uomo possa conoscere e amare Colui che vuole incontrarci, amarci e donare tutto se stesso a noi.
Le letture che la liturgia di oggi ci propone ci prendono per mano per condurci, sempre più, dentro il mistero.
La prima lettura, dal libro dei Proverbi (Pr 8,22-31) ci presenta il quadro della creazione, nella quale è all’opera la Sapienza di Dio, che come in un “gioco” d’amore e di bellezza penetra ogni realtà creata per imprimervi il “tocco” del Creatore. Solo uno sguardo reso puro dallo Spirito santo può contemplare e gioire delle opere di Dio, scorgendovi questo “tocco” inconfondibile di bellezza del Creatore.
A questa lettura fa eco il Salmo responsoriale (Sal 8), il cui responsorio mette sulle nostre labbra il canto della lode e dello stupore: «O Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!».
La seconda lettura tratta dalla lettera ai Romani di san Paolo (Rm 5,1-5) ci fa fare un passo in più. La nostra esperienza della storia umana, purtroppo non è sempre positiva. Sperimentiamo il peccato, l’allontanamento da Dio, la tentazione, le prove, la sofferenza, il dolore. Come possiamo allora vivere nello stupore, nel ringraziamento? Dio sembra nascondersi nelle pieghe spesso oscure della vita quotidiana e della storia. San Paolo ci illumina la via che stiamo percorrendo: in noi è stato riversato con abbondanza lo Spirito santo. Egli è amore sopra ogni altro amore, un amore invincibile che non ci abbandona nel momento della difficoltà, della tribolazione, neppure quando sperimentiamo la debolezza che ci porta a cadere, a rinnegarlo. La nostra fiducia, l’unica speranza affidabile, che non delude, è la presenza dello Spirito santo in noi, che ci fa attraversare il mare della tribolazione e il deserto bruciante della nostra ribellione, per condurci alla presenza del Padre. La pazienza nel cammino, il continuare a rialzarci e a rimetterci nelle Sue mani, ci apre le porte alla speranza di essere ammessi a partecipare della stessa vita divina.
Il Vangelo (Gv 16,12-15), ci riconduce al lungo discorso fatto da Gesù agli apostoli prima della sua passione, morte e risurrezione. Egli sa che il mistero che è venuto a rivelarci è un mistero che la mente e il linguaggio umani sono inadeguati a spiegare. Gli eventi drammatici che gli apostoli dovranno attraversare e che rivelano la profondità dell’amore salvifico di Dio contengono un “peso” di gloria che l’occhio umano non può comprendere. Solo la venuta dello Spirito potrà far entrare nel cuore umano «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo» (1Cor 2,9), perché – dice ancora san Paolo – «a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio». (1Cor 2,10).
Solo nello Spirito, infatti, possiamo comprendere e lasciarci immergere nel mistero insondabile di Dio. Mistero nel quale per il Battesimo siamo immersi e che grazie a tutta la vita sacramentale prende sempre più possesso di noi, fino a renderci davvero figli nel Figlio del Padre, capaci, come Lui, di comunicare e dare la vita nell’Amore, che è lo Spirito santo.
L’invito di questa domenica, a immergere i nostri occhi in questo mistero di relazioni divine, vuole risvegliare in noi lo stupore per il mistero stesso che ci abita. Infatti, siamo stati creati a immagine della Trinità, e nel Battesimo la vita divina è stata riversata in noi.
«La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa:
solo l’amore ci rende felici,
perché viviamo in relazione per amare
e viviamo per essere amati»
(Benedetto XVI).